Dalla famiglia patriarcale alla famiglia mononucleare
A cura di Luciana Nora
CONTESTO AMBIENTALE
Parrebbe scontato precisare che non è possibile parlare di storia della famiglia dato che ogni epoca e luogo ha espresso più tipologie familiari estremamente diverse tra loro, ma questa puntualizzazione è d'obbligo e, forse, quanto mai opportuna oggi.
Le diversità sono molteplici e a determinarle concorrono vari fattori, primo tra tutti quello economico, direttamente legato ad eventi ed assetti politici, strettamente connesso alle trasformazioni tecnologiche in campo produttivo e, quindi, in perenne trasformazione.
Dal censimento del 10 febbraio 1901 risulta risiedessero in Carpi 4596 famiglie per un totale di popolazione di 22.894 unità; 1855 famiglie abitavano il centro, 3741 erano
diversamente suddivise nelle 10 frazioni; 7262 individui abitavano la città,15.632 le frazioni.
Scorrendo i censimenti successivi e fino agli inizi degli anni '50, si osserva un incremento demografico continuato ed abbastanza regolare, sia in città che nelle frazioni.
Il 1953 segna l'inizio di un fenomeno assolutamente nuovo per Carpi e che risulterà essere incontrovertibile. La popolazione di tutte le frazioni, escluse Cibeno e Quartirolo, che sono gradualmente assorbite dalla città, comincia ad accusare un calo costante e sensibile: è l' inizio di una trasformazione formidabile che sovverte quello che fino a quel momento era stato l'equilibrio economico carpigiano, ossia: l'economia industriale prende il sopravvento su quella agricola. Carpi infatti era una cittadina la cui economia, fino ai primi anni '50, era fondamentalmente basata sull'agricoltura e sulla lavorazione stagionale del truciolo, che le era complementare e per la quale, era prevalentemente utilizzata manodopera a domicilio, quasi esclusivamente femminile, avviata a questa attività già a partire dalla primissima infanzia (1).
La lavorazione del truciolo consisteva nel trarre dai tronchi di salice e di pioppo opportunamente coltivati poi scortecciati, delle paglie sottili ed estremamente flessibili ( trucioli ), uniformi per spessore, larghezza e lunghezza. Le paglie ottenute venivano poi intrecciate e andavano a formare una lunga treccia che esperte cappellaie, sia manualmente che a macchina, utilizzavano per confezionare cappelli.
La produzione ed il commercio dei cappelli e della materia prima semilavorata utile alla loro confezione, che avveniva soprattutto all'estero, erano soggetti ai dettami della moda ed agli andamenti dei prezzi di mercato
decisi, in particolar modo, sulle piazze di Parigi, Londra e New York. Ne conseguiva che questa attività alternava momenti di intensa produzione e guadagno, ad altri di grave crisi.
I tempi di più intensa lavorazione si collocavano nel tardo autunno e nell'inverno, cosicché ad essa, oltre alla manodopera reclutabile in città che, perlopiù, veniva impiegata negli stabilimenti, poteva attendere a domicilio buona parte di coloro che lavoravano la terra: contadini e braccianti. Le tariffe paga degli operai di fabbrica erano sensibilmente più alte di quelle applicate al lavoro a domicilio. Questa discriminazione, specie nei momenti di crisi, diventava un forte strumento di ricatto verso le lotte operaie tese, dall'inizio del '900, ancor più che a miglioramenti salariali, alla conservazione o adeguamento ai costi della vita, delle tariffe praticate. Una guerra tra poveri in cui alla campagna era fatto giocare un ruolo conservatore.
La stagionalità di detta lavorazione permetteva a pochissimi addetti di trarne un reddito sufficiente per vivere ed i pagliari, d'estate, erano anche muratori, imbianchini, falegnami, braccianti, ecc. Mentre le trecciaiole si trasformavano in mondariso e braccianti nei vari lavori campestri.
L'inizio del '900, seppure con parentesi che potevano apparire di grandiosa trasformazione, segna il lento ma inesorabile declino del secolare truciolo (2), che nonostante fosse miracolosamente sopravvissuto agli eventi della prima guerra mondiale, poiché aveva saputo e potuto trasformarsi in industria mimetica ( alla fine del conflitto non riuscì più a riconquistare le antiche posizioni di prestigio sul mercato; ed il lavoro, sia in fabbrica che a domicilio, venne sempre più scarsamente retribuito, riaffermando la sua sussidiarietà e precarietà economica.
Sull'onda di forti tensioni, sia con il padronato agricolo che con quello industriale, che vicendevolmente si addossavano la responsabilità dei magri redditi della manodopera (4), erano sorte leghe e forti movimenti cooperativi che non ebbero mai una vita facile, ma che seppero imporsi e costituirsi come esempio generalizzabile a tutte le categorie lavorative.
Cooperative di trecciaie, pagliari, birocciai, falegnami, muratori, calzolai, sarti, ecc...; il fascismo stesso, pur apportando sostanziali modifiche agli statuti e pilotandone la gestione, ritenne inopportuno scioglierle (5). La memoria delle ragioni originali del loro sorgere non si è mai persa e, dopo la Liberazione, tutto ha potuto essere ripristinato.
Alcune di queste società d'impresa, in corrispondenza al forte sviluppo economico locale, sono diventate realtà che si muovono sul mercato internazionale e che, di conseguenza, hanno, sul piano economico ed occupazionale, una grandissima importanza.
In Carpi città, alla vigilia del secondo conflitto mondiale, la disoccupazione e la conseguente miseria erano paurose
fino a quando, proprio in ragione dei pericoli della guerra, qui si decentrarono la Magneti Marelli di Sesto San Giovanni ed una Sezione della Manifattura Tabacchi di Modena. Questi due opifici insieme impiegarono nei loro stabilimenti, in modo continuativo e non più stagionale come per il truciolo, circa 1500 maestranze, alleviando così la sofferenza economica di molte famiglie. Ma, già nel '44, oltre 800 unità lavorative, quasi esclusivamente donne, vennero sospese dalla Magneti Marelli ed i loro posti furono inappellabilmente soppressi nel '45.
Con l' esperienza Marelli si crearono delle competenze meccaniche che divennero sostegno indispensabile alla creazione di un forte distretto metalmeccanico, attivamente operante nello sviluppo dell’economia carpigiana dagli anni '50 in poi (6).
Finita la guerra, si riprofilava una nuova pesantissima crisi in cui non si vedevano prospettive di impiego se non nel settore dell'agricoltura che, peraltro, usciva dalla guerra in pessime condizioni, aggravate da patti agrari capestro imposti nel ventennio fascista che aveva cancellato i modesti benefici ottenuti con le aspre lotte del bracciantato e della mezzadria a partire dall'inizio del '900. Non è un caso che gli anni dal '20 al '44 siano caratterizzati da un forte movimento emigratorio ed immigratorio: a gente che non si adattava, costretta a cercare altrove condizioni di vita più accettabili, se ne sostituiva altra, ritenuta più malleabile e sovente reclutata in regioni più depresse della nostra.
Il 24 aprile 1945 segnava per Carpi l'inizio di una liberazione i cui tempi reali di raggiungimento dovevano essere ancora lunghi e difficili e dove l'imperativo assoluto era, come dovunque, ingegnarsi per sopravvivere.
Lo spirito d'ingegno, la cultura del e al lavoro, in quel tempo di necessaria ricostruzione, trovarono spazio per esprimersi creando le premesse di quelli che sono attualmente i due settori portanti dell'economia locale: il tessile/abbigliamento ed il metalmeccanico, attorno ai quali si è formato un notevole terziario di servizio.
Nel 1993 la popolazione carpigiana è di 60.494 unità, suddivise in 23.071 famiglie; 49.420 sono i residenti in Carpi città. 4.792 famiglie hanno un solo componente, 6.690 ne hanno due, 6.212 tre, 3.998 quattro, 1033 cinque, 346 sei e oltre.
Questa sinteticamente è la vicenda economica carpigiana imprescindibile da quella delle famiglie che, su questo territorio, si sono fin qui avvicendate.
Fatta questa prima premessa ambientale, per entrare nella storia e nel costume delle famiglie carpigiane occorre operare una prima distinzione tra le famiglie di città e quelle di campagna, nettamente separate tra loro non solo sotto l'aspetto territoriale, ma anche ed in particolare, sotto quello sociale, benché fortemente connesse tra loro dal punto di vista economico. Vivere fuori o dentro la cinta muraria era segno di distinzione e, in un territorio seppur così ristretto, si riconoscevano le cosiddette ville di provenienza (oggi frazioni) dalle diverse inflessioni dialettali e ciò costituiva una discriminante. Riconoscere la provenienza era utile nell'inquadrare socialmente gli individui: una cosa erano coloro che abitavano su territori fertili, altra chi si confrontava con la durezza dei territori vallivi.
Alfredo Bertesi, all'inizio del '900 caratterizzava le ville del carpigiano nel significativo seguente modo:
" La trascurata Cortile/
La feudale San Martino/
La larga Cibeno/
Fossoli la rude e forte/
La gentile Migliarina/
La laboriosa Budrione/
La densa Quartirolo/
La grassa Santacroce/
La dilungantesi Gargallo//"
Non sono mai corsi buonissimi rapporti tra città e campagna e questo dissapore ha origini lontane. Nel 1756 usciva una Grida "Sopra il non dover i Contadini abitare nella Città di Carpi" nei cui passi essenziali si legge: "Avendo i Signori Pubblici Rappresentanti supplicata l' A.S.S perché sia provveduto ai disordini, che di giorno in giorno nascono, e col progresso del tempo insorgerebbero dall' introdursi Famiglie e Persone del Contado in questa Città, e fissarvi la loro abitazione...con la presente pubblica Grida, la quale dovrà perpetuamente valere, si proibisce a qualunque Famiglia e Persona di ogni Sesso, che sieno solite a impegnarsi in faccende rusticali, il venire da qui in avanti ad abitare in questa Città, ed a qualsiasi Persona di Città, siasi di qualsivoglia grado e condizione, di dare loro ricovero a tal' effetto, sotto la pena di Scudi venticinque...Tutti i contadini, i quali dopo la pubblicazione della presente avessero l' ardire di contravvenirvi, oltre l'incorrere nelle suddette pene, saranno ancora infallibilmente scacciati di Città..." (7)
Se il dissidio tra città e campagna poteva essere una norma generale fino ad un cinquantennio fa, dovuta anche al fatto che in città risiedevano i proprietari dei fondi, dai quali i contadini di ogni condizione si recavano per onorare le servitù contrattuali e per controllare e saldare conti che, sovente, nonostante il duro lavoro, vedevano il contadino in debito, a Carpi v'era una ragione in più che concorreva a rendere tesi e contraddittori i rapporti tra città e campagna: il truciolo. Carpi città aveva saputo mantenere per oltre quattro secoli un saldo controllo su tutta la produzione ed estendeva o riduceva la richiesta di manodopera alla campagna in ragione degli andamenti di mercato cosicché, le cicliche crisi di questa lavorazione erano avvertite in primo luogo proprio nelle campagne che, oltre vedersi ridotta la possibilità di guadagno, si confrontavano con una moltitudine di operai di città disoccupati che, autoproponendosi a tariffe competitive, si riversavano sul mercato della manodopera nel settore agricolo. Per la mietitura del luglio 1909, " Luce " esce con un articolo di denuncia a cura di un leghista di Cibeno da cui si apprende: " Anche quest'anno nel lavoro di mietitura si verificano gli inconvenienti degli anni scorsi. Molti operai non braccianti , specialmente quelle infinite categorie dell'industria del truciolo, si riversano sulle campagne a mietere il frumento, sottraendo alla classe braccianti...molte giornate di lavoro... contribuendo a ridurre alla metà ed anche a meno le giornate di lavoro... recano danni non indifferenti. Ma v'è di peggio. Da parecchi anni anche i braccianti hanno aumentato le proprie tariffe e diminuito gli orari. Gli operai non braccianti, i quali non possono e non pretendono di essere abili come i braccianti, non ci tengono a far osservare gli orari e le tariffe, pur di rimanere occupati. In questo vengono a far concorrenza ai braccianti...I padroni e conduttori di terre a sua volta essendo necessariamente avversi e cattivi contro gli aumenti di paga dei braccianti, cercano, per quanto possono, di occupare gli altri per lasciare disoccupati questi..."
Questa regola si inverte nel secondo dopoguerra, quando il truciolo, ridotto ai margini del mercato sul quale si poneva esclusivamente come prodotto mediocre, sempre più serrato dalla concorrenza dei paesi medio orientali, non trova più manodopera disponibile ad essere remunerata con tariffe da terzo mondo ed, allora, ed esso si continuarono a dedicare solamente le donne di campagna e le anziane di città. Assieme alla scomparsa di queste, per il truciolo era segnata una fine irreversibile.
A Carpi comunque, coloro che abitavano fuori, venivano per i giorni di mercato (giovedì e domenica),per le grandi sagre, per onorare i patti con i proprietari dei fondi ed erano più o meno sommessamente apostrofati con le seguenti strofe:
" Oh, tirt' in là con chi trucloun/
sot al portegh te ve via tutt ed dardoun//
La camisa a quadertoun/
al breghi rigadoun/
al capell a la Tom Mik// "
Oltre a questo distinguo tra città e campagna ve ne erano altri ancora interni sia in città che in campagna, ossia le distinzioni tra classi sociali: famiglie borghesi, impiegatizie, artigiane, commercianti ed operaie in città; famiglie di coltivatori diretti, affittuari, mezzadri, terziari e braccianti in campagna.
Un dato che poteva apparire comune era la frequente numerosità dei componenti le famiglie ma, anche su questo, si deve distinguere in rapporto alla condizione economica familiare: una prole numerosa per coloro che disponevano di un reddito basso costituiva una condanna da cui praticamente era impossibile sfuggire data la disinformazione quasi assoluta. Non si conoscevano tecniche contraccettive naturali ed altri mezzi sono stati pressoché inesistenti fino al '45. Sul settimanale socialista locale " Luce ", nel
settembre 1910, usciva la pubblicità a preservativi, per munirsi dei quali era necessario rivolgersi ad " Igiene ", Casella Postale 635 Milano che, con un'affrancatura pari a 20 cent. e la massima segretezza, avrebbe mandato non il prodotto, bensì il catalogo; è evidente che una proposta simile era economicamente inagibile per la maggioranza, senza calcolare le riserve mentali, morali, religiose e quindi quelle politiche, dopotutto non ancora scomparse a tutt'oggi.
Quindi un'altissima percentuale di famiglie, nonostante l'alta mortalità infantile, messa comunemente in conto e che veniva definita selezione naturale, ha dovuto confrontarsi con i problemi derivanti dall'allevare una prole numerosa, più subita che cercata.
Contraddittoriamente anche se comprensibilmente, il
numero dei figli era più frequentemente alto nelle famiglie in condizioni disagiate con tutto quello che ne consegue.
Raccolta fotografica "Tenere famiglia"
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