A cura di Luciana Nora
Mostardino
È credibile che la maschera carpigiana di Mostardino tragga origine dalla particolarità di Carpi di produrre quella che era definita la mostarda fina e, stante le indicazioni ricavate da Il Cu – Cu del marzo 1889, il Mostardino sarebbe stato citato dal Francesco Guicciardini, contemporaneo di Alberto Pio III°, ultimo principe di Carpi, quando la mostarda si era già affermata alla mensa dei Pio. Mostardino era la rappresentazione del garzone di spezieria ed era così descritto: sulla guancia sinistra aveva una macchia rubizza o voglia di mostarda, a tracolla portava una cerbottana utile all’uccellagione che il Tornini voleva di invenzione carpigiana, portava un cappello di truciolo in testa e, assai sagace, teneva concioni a sfondo politico, di quelli capaci di far venire la mostarda al naso, i quali passavano impuniti sotto la copertura del Carnevale.
Una descrizione rimata la si trae dal numero unico di una rivista titolata Carnevale 1928.
“[…] Ecco qua Mostardin, la nostra maschera:
non mascherata, rosea balda faccia,
alchimista, in bottega, e pesta pevere.
Ama le donne e il vino generoso,
quel, dico, che cupreo sapor non ha.
Fa le corna, ch’è un po’ superstizioso,
ma solo a chi buon gioco non gli dà.
A detta maschera, sicuramente fino agli anni ’30, si sono ispirati più volte gli organizzatori del Carnevale Carpigiano per l’allestimento dei carri allegorici. Attualmente Mostardino è ritornato soggetto di curiosità per il suo indubbio collegamento con il proposito di alcuni carpigiani di ridar vita alla mostarda fina
Sandrone
Un ritaglio di giornale non identificabile ma databile 1948, conservato in un cassetto di un’anziana signora carpigiana, trattante la cronaca modenese, firmato con la sigla e.p., a proposito della Famiglia Pavironica, riportava: “Sulle origini della maschera di Sandrone sono state dette molte inesattezze. Si è tentato di farla credere nata a Reggio Emilia e imitatori bolognesi, parmensi, mantovani e perfino veneti furono proclamati creatori del tipico contadino modenese. Venuto tardi a completare la schiera delle maschere italiane, … Sandrone può vantare legittimità di natali senza padri putativi o adottivi. Giulio preti, il grande burattinaio modenese, nelle memorie pubblicate dal brillante scrittore e critico Pietro Ferrigni (Yorik), narra con scrupolosa precisione le origini del caratteristico burattino. Viveva in Carpi nel 1775 una famiglia di Israeliti, composta dal marito, dalla moglie e di un figlioletto di pochi mesi. Si chiamavano allora Rimini di cognome, ma ferveva in quel tempo un’intensa propaganda per la conversione degli Ebrei al cristianesimo e il Rimini abbandonò la religione di Mosè e si fece cattolico assumendo il nome di Campogalliani. Intelligentissimo e ricco di fantasia, cresceva in Carpi il figlio del Campogalliani, Luigi, il quale aveva una spiccata passione per l’arte del burattinaio, tanto che, giovanissimo, sposata nel 1795 una lavorante in truciolo, Maria Filippelli, decise di farsi burattinaio…”
Suddette affernazioni traggono conferma da una ricerca condotta dal ricercatore Gianfranco Guaitoli presso l’Archivio Comunale di Carpi, nel cui ambito è emersa una lettera, datata 1794, indirizzata ad Angelo Scarabelli Pedoca, allora Governatore di Carpi, in cui Luigi Campogalliani chiedeva il permesso di esibire al pubblico una camera ottica di sua invenzione durante la fiera di San Bernardino. Nello stesso anno, chiedeva ancora di prodursi in uno spettacolo di burattini in occasione della Sagra d’Agosto, probabilmente per San Bartolomeo detta anche “Sagra delle cipolle”. Ad attestare l’assoluta carpigianità di Luigi Campogalliani è un’altra lettera datata 11 febbraio 1797, nella quale chiede alla Municipalità di Carpi un certificato di nascita che attesti oltre i dati anagrafici anche la sua professione di burattinaio. L’articolo prosegue sopracitato riporta ancora:
“Peregrinando di paese in paese, accolto con molto favore dal pubblicò, volle associarsi con un allegro cantastorie, il quale, entusiasta dell’attività del Campogalliani, un giorno gli disse: “ Sentite Campogalliani, voi dovreste mettere tra i vostri burattini la figura di mio padre Sandrino. Allora, v’assicuro, fareste ridere!”. Il Campogalliani volle conoscere il padre del cantastorie e si recò a trovarlo. Era un rozzo contadino, che, avendo la mania di parlare italiano e volendo dire la sua opinione su tutto, sciorinava i più ridicoli spropositi, Campogalliani ne fece il personaggio preferito del suo teatrino sotto il nome di Sandrone Pavirone. Tale fu l’origine della nuova testa di legno. Il memoriale di Guglielmo Preti non rivela di quale paese fossero il cantastorie e il suo babbo “Sandrino”, ma è tradizione che essi risiedessero al Bosco di sotto da Modena. Di qui l’equivoco di fonte reggiana che si tratti di Ca’del Bosco di sotto, piccolo comune della provincia di Reggio Emilia.”
Se questa è l’accattivante memoria tratta dal memoriale di Guglielmo Preti, è più probabile che l’origine del Sandrone sia da ricercarsi nel 1598, quando Giulio Cesare Croce ne fece un personaggio di una sua commedia titolata Sandrone astuto. Il Sandrone di Croce era un villano furbo, che verbalmente si esprimeva in dialetto. Volendo trasportare sulla scena la realtà dei luoghi su cui portava i suoi spettacoli, il Campogalliani dovette ritenere che il Sandrone di Giulio Cesare Croce rappresentasse mirabilmente la realtà sociale dell’epoca. Il Sandrone, a cavallo tra la condizione di contadino e bracciante; il Sandrone, illetterato, ma ricco di quella furbizia tipica delle classi contadine dalle scarpe grosse e dal cervello fino, si muove nelle trame delle storie in maniera rozza e ridicola all’apparenza, ma il suo sproloquiare e il suo agire, sortenti ilarità, raggiungevano sempre l’obbiettivo di ridicolizzare i prepotenti. L’inedentificabile cronista proseguiva spiegandi che:
“Chi comprese tutta l’importanza della nuova maschera fu Giulio Preti, nato a Bologna, trasferitosi ancora bambino con la famiglia a Modena, il quale, sposata la figlia del Campogalliani, portò a tale perfezione il teatro dei burattini da diventare popolare in tutta la regione emiliana e oltre Po, e perfezionò e trasformò completamente la figura del Sandrone, vivificandolo di tanto spirito e di tanta comicità da oscurarne completamente il tipo originale. Del tipico burattino di Giulio Preti – il quale, come è noto, fabbricava da sé le teste di legno del suo teatrino – Mario Molinari, il valente artista e caricaturista Geminiano, ha rievocato, nel “Tris di assi” le linee fisionomiche dei tre componenti la famiglia Pavironica, [associate a quelle che sono le tipiche specialità gastronomiche modenesi: cappelletti o tortellini rigorosamente in brodo, zampone e lambrusco.] Accanto al rozzo contadino di buon senso, Giulio Preti creò la figura della Polonia, la moglie ignorante e ristretta di mente, ammiratrice della eloquenza spropositata del consorte, e la maschera di Sgorguighelo, il figlio sempliciotto e curioso. Giulio Preti si ritirò poi a vita privata, lieto di vedere il figlio Guglielmo seguire le sue orme. Fedele al proposito di istruire, educare e divertire, Guglielmo Preti rivaleggiò per fama e popolarità con il padre, cosicché per antonomasia gli fu dato il nome di “Gioli”. Né egli solo continuò le tradizioni familiari, perché Enrico, Emilio, Carlo ed Eugenio, tutti i suoi figli si affermarono valenti nel far agire le piccole teste di legno, e anche oggi i loro discendenti continuano la professione.
Lo spettacolo dei burattini è stato e continua ad essere, seppure in modi e tempi diversi, una grande attrazione per grandi e piccoli. La memoria di questo intrattenimento esce da varie testimonianze tra cui quella della partitante del truciolo Irne Galloni, che rammentava come donne e bambini, la sera, dopo averle consegnate le trecce, si intrattenevano in un locale della sua abitazione in Via San Francesco per assistere alle rappresentazioni di Riccardo Preti, burattinaio di Carpi. Una delle peculiarità di questo artista era quella di ridurre in spettacolo per burattini le rappresentazioni in programma al teatro di Carpi, in anticipo rispetto al cartellone. Era forse questo un modo per far conoscere i contenuti delle opere del grande palcoscenico, anche a chi non poteva economicamente permettersi di frequentare il teatro. Similmente a quanto, più o meno consapevolmente, mettevano in atto i cosiddetti “filuser”, i quali con letture e racconti attinti dalla cronaca intrattenevano nutriti gruppi di persone nelle stalle contadine, e nelle “stufe” e “budgoun” cittadini, il teatro di Preti si prefiggeva l’intento di “EDUCARE E DILETTARE”: era infatti questo il motto che appariva scritto sul fronte della sua baracca. Tra il suo ricco repertorio non potevano mancare farse i cui principali personaggi erano le maschere di Sandrone, la Pulonia e Sgorghiguelo i quali, per il loro caratteristico sarcasmo sociale e politico, erano senza dubbio i più appropriati allo spirito Carnevalesco. Alla morte di Riccardo Preti, avvenuta nel 1926, proseguirono l’attività i figli che, agli effetti civili, come la madre, erano Pederzani. Il teatro continuò comunque a portare il conosciuto nome di famiglia: Preti. Gli ultimi burattinai carpigiani furono Ennio che lavorò sino al 1955, quindi Plinio ed Orio. Le loro rappresentazioni erano date al Parco delle Rimembranze, presso le scuole e, specialmente erano l’appuntamento abituale della festa presso il teatro Lux di Via Giuseppe Rocca dopodiché. Nel 1972, la lunga tradizione familiare ebbe ad interrompersi.
Parco delle Rimembranze di Carpi – Festa per l’infanzia che si teneva l’ultima domenica di settembre, prima dell’apertura del nuovo anno scolastico - Spettacolo di burattini, tenuto da Plinio Pederzani, figlio di Riccardo Preti.
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Plinio ed Ennio Pederzani, figli di Riccardo Preti – Plinio tiene tra le mani le teste di legno di Sandrone, Sgorguighelo e la Polonia, burattini realizzati dal padre Riccardo; attualmente le tre teste di legno sono conservate da Anna Maria Pederzani, figlia di Plinio.
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In occasione di martedì grasso, ultimo di Carnevale, Fino alla metà degli anni Cinquanta e con una ultrasecolare tradizione alle spalle, si teneva una spettacolare sfilata di carri allegorici. In quella circostanza la famiglia Pavironica, da Modena, saliva a Carpi e teneva il suo concione in Piazza dei Martiri, prima Piazza Vittorio Emanuele.
Ultimo arrivo della famiglia Pavironica, databile 1955 – Foto Gasparini – Carpi. |