Attraverso imagini e documenti
A cura di Luciana Nora
Fino alla seconda metà degli anni quaranta, lo spostarsi da casa per una gita domenicale o per un più o meno breve periodo di ferie, per la gente comune era pressoché inconcepibile, sia e particolarmente sotto l’aspetto economico, che di organizzazione della quotidianità produttiva. Il lavoro agricolo, ma anche quello artigianale non permettevano sosta. Scarsi se non nulli i mezzi privati per raggiungere anche mete che oggi riteniamo ragionevolmente vicine.
La vacanza in località montane o marine era privilegio di pochissimi, un privilegio talmente grande che, allorché un comune mortale si portava a soggiornare in montagna per un periodo mediamente lungo, si faceva convinzione comune che vi fosse stato costretto da motivi di salute, in particolare dall’allora temutissima, tristemente assai diffusa e difficilmente sanabile tubercolosi.
Alcune località dell’Appennino Modenese erano conosciute generalmente per via di alcuni santuari meta di pellegrinaggio e, tra questi, quello della Madonna di Fiorano o anche l’assai più lontano San Pellegrino in Alpe a cui si approdava per sciogliere voti per grazie tanto particolari per le quali i Santi o le tante Madonne locali si erano mostrati non sufficientemente potenti.
Negli anni dell’immediato secondo dopoguerra, complici le due ruote a pedale e i nuovi mezzi motorizzati che iniziavano ad essere abbordabili anche dal ceto operaio, iniziava una trasformazione di costume rispetto alla concezione del tempo e dello spazio che non conosceva precedenti. Mosquito, Motom, Guzzi di diversa cilindrata, Galletto, Vespa e Lambretta prendevano d’assalto le non ripidissime salite appenniniche. Antichi centri e borghi della montagna modenese, presi d’assalto, uscivano dal millenario silenzio
La vacanza in località montane o marine era privilegio di pochissimi, un privilegio talmente grande che, allorché un comune mortale si portava a soggiornare in montagna per un periodo mediamente lungo, si faceva convinzione comune che vi fosse stato costretto da motivi di salute, in particolare dall’allora temutissima, tristemente assai diffusa e difficilmente sanabile tubercolosi.
Alcune località dell’Appennino Modenese erano conosciute generalmente per via di alcuni santuari meta di pellegrinaggio e, tra questi, quello della Madonna di Fiorano o anche l’assai più lontano San Pellegrino in Alpe a cui si approdava per sciogliere voti per grazie tanto particolari per le quali i Santi o le tante Madonne locali si erano mostrati non sufficientemente potenti.
Negli anni dell’immediato secondo dopoguerra, complici le due ruote a pedale e i nuovi mezzi motorizzati che iniziavano ad essere abbordabili anche dal ceto operaio, iniziava una trasformazione di costume rispetto alla concezione del tempo e dello spazio che non conosceva precedenti. Mosquito, Motom, Guzzi di diversa cilindrata, Galletto, Vespa e Lambretta prendevano d’assalto le non ripidissime salite appenniniche. Antichi centri e borghi della montagna modenese, presi d’assalto, uscivano dal millenario silenzio
La mostra si compone di 40 pannelli cm.70 x 100 in verticale
Ricerca di Luciana Nora e Sandra Losi
Le immagini sono Foto Gasparini Carpi, databili dal 1943 alla seconda metà degli anno Cinquanta
Riproduzione di documenti scritti.
Tratto dal manoscritto Scritti varii di Francesco Maria Campori, Volume I° 1835 - 1846. Originale di proprietà di Federico Fioretto, pronipote di Matteo Campori